problem solver

L’esperienza diretta di un executive di una multinazionale dell’energia.

“Sono un PROBLEM SOLVER. È uno dei mei tratti salienti e mi ha sempre dato un senso di orgoglio.

Eppure, a poco a poco ho scoperto come ne sono dipendente: devo risolvere, fare cose, completare le mie infinite check-list per sentirmi gratificato. Ho visto come la lista delle cose da fare sia più importante della relazione con le altre persone: colleghi, familiari, amici ecc. È una sorta di mandato imperativo interiore per cui devo seguire un programma.

Un’altra faccia del problem solver è l’essere COMPETENTE: dare le risposte giuste, essere un perfezionista ha effetto sulle relazioni interpersonali in quanto mi porta a una ridotta capacità di ascolto del parere degli altri. Sono intrappolato nel dover difendere le mie convinzioni perché accettare di aver sbagliato mi causa una perdita di stima nei miei confronti. Essendo convinto che la somma di quello che fai è il totale del tuo valore, quando fai qualcosa di sbagliato vuole dire che hai perso una parte del tuo valore agli occhi degli altri e di te stesso. E questo ovviamente mi induce una sorta di ansia da prestazione: mai e poi mai potrai fermarti, mai potrai trovare una baia dove dare àncora, dover riposare per la notte. Devi navigare. Sempre.

Isolare e identificare questo meccanismo automatico, che mi porta a fare azioni senza che necessariamente mi rendano felice o che siano importanti per me, mi ha permesso di vederne:

– il beneficio temporaneo di preservare questa fittizia comfort zone che mi protegge dall’ansia dell’errore
– il costo di non sviluppare relazioni personali con chiunque mi sia intorno.

Per uscire dal paradigma dell’uomo macchina, che forse ha caratterizzato gran parte della mia vita, sto imparando ad ascoltare di più le mie emozioni associate alle attività che faccio. L’emozione mi aiuta a capire se sto operando in funzione del mio pilota automatico o delle cose che voglio veramente fare o che sono importanti per me. È ovvio che tutti i giorni siamo chiamati a fare cose che non sempre ci esaltano, ma un conto è farle in maniera inconscia sulla spinta di un automatismo e un conto è essere consapevoli che le stiamo facendo perché necessarie o perché le vogliamo.

Se questo meccanismo automatico è l’elemento dominante della mia vita, è chiaro che non sono più padrone del mio tempo: è lui che sceglie per me. Quindi ho deciso di essere una persona più piena e più…umana, ritagliandomi degli spazi in agenda ad hoc e affrontando delle conversazioni difficili. Sì, perché questo meccanismo automatico ci sottrae alla nostra adultità, ci facciamo portare per mano da lui senza prenderci la responsabilità di dirgli basta e di affrontare delle conversazioni difficili che dovremmo fare prima con noi stessi e poi con gli altri. Se ho interesse a migliorare le mie relazioni, devo trovare il coraggio di prendere il toro per le corna, affrontare gli argomenti, accogliere e superare i momenti di ansia, vergogna, pudore, paura e vedere quello che succede piuttosto che tenere le relazioni così, un po’ galleggianti, senza che vadano da nessuna parte.

Questo è stato l’inizio del mio percorso con COCREA, le relazioni con gli altri stanno migliorando, sono meno distaccato e dal mio punto di vista è come se mi fossi risvegliato da una sorta di narcolessia in cui sono stato troppo a lungo”.